Il dottor Glas e la ricerca dell’infelicità

Esiste un  momento nella vita di ognuno di noi in cui si pensa (si scopre?) che tutto è vano. “Vanità di vanità.” direbbe Qoelet “Tutto è vanità.”
Non si tratta di un momento di sconforto, quanto piuttosto di un’accettazione che no, non siamo niente, in fondo, e che forse niente può davvero dare sollievo a questa situazione.

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Lo sa bene il dottor Glas che, in qualche modo, vive questa condizione da tutta la vita, tanto che un suo amico dirà che fa parte di quegli…

…uomini che difettano di ogni predisposizione alla felicità e che l’avvertono con penosa e inesorabile chiarezza. Tali uomini non aspirano alla felicità ma, semmai, cercano di dare un po’ di forma e di stile alla propria infelicità.

Il dottor Glas è una persona rispettata e benestante, un dottore appunto. Si definisce brutto e se ne dispiace, ma allo stesso tempo non ne fa davvero un dramma. Si tratta di una creatura intrappolata in una solitudine autoinflitta, tanto che, sebbene qualche volta ci pensi, non riesce a trovare la voglia di accettare, o almeno capire, le avances di una signora a lui interessata. Alla fine non avrà nemmeno la forza, il coraggio, e nemmeno l’intenzione, di dichiararsi alla donna che davvero gli interessa. Nemmeno nel momento più opportuno, quello che potrebbe cambiare le cose.

Mi avevano insegnato a pensare che la volontà di Dio consistesse sempre in quello che, più di tutto, andava contro la nostra volontà.

Questo suo mondo di ‘nulla’ viene messo in difficoltà proprio da questa donna alla quale non saprà dichiararsi.
Si tratta di una sua paziente, moglie di un sacerdote che il dottor Glas non sopporta. Lei ha un giovane amante e col marito non vuole più averci nulla a che fare, specialmente in ambiti intimi.
Il dottor Glas se ne invaghisce a tal punto che vuole trovare un modo per aiutarla nella sua ricerca della felicità. Qualsiasi modo verrà preso in considerazione. Qualsiasi.

La morale è uno degli utensili domestici,  non una divinità. Deve essere adoperata, non deve dominare. E deve essere adoperata con buon senso, con un granellino di sale. È saggio far proprie le usanze di dove ci si reca; è sciocco farlo con convinzione.

Questo romanzo-diario svedese, apparso per la prima volta nel 1905, non mancò di scandalizzare una società intera. Tratta infatti alcuni argomenti piuttosto delicati, come la violenza sessuale interna al matrimonio, ma anche l’aborto e l’eutanasia, senza dimenticarsi dell’omicidio, e lo fa in un modo molto diretto e spesso con idee opposte rispetto alla ‘morale’ comune.

Volere è saper scegliere.
Saper scegliere è saper rinunciare.

È un romanzo che per tutto il tempo ruota attorno alla domanda ‘cos’è giusto fare?’, ma è una domanda che, almeno per quanto riguarda le azioni del dottore,  non troverà mai una vera risposta, neanche a scelte fatte.

Il dottor Glas è una persona distaccata dal mondo. Lo osserva passare, lo indaga e lo studia, ma sente di farne parte a modo suo. Ed è proprio questo che gli consente di pensare a svariati argomenti in un modo ‘inedito’.
Ma cos’è che lo ha reso così? Cos’ha fatto in modo che quest’uomo di inizio Novecento pensasse così fuori dagli schemi, tanto da rimanere imprigionato in una sua visione di sé? Forse è lui a confessarcelo quando, durante un bellissimo flusso di pensieri a proposito di paesaggi considerati belli, si chiede:

…quale tipo di ambiente naturale mi sceglierei, se non avessi mai letto un libro, né avessi mai visto un’opera d’arte. Forse, non mi verrebbe neanche in mente di scegliere in quel caso; può darsi che allora l’arcipelago, con le sue piccole rocce, mi basterebbe. Tutte le mie idee e i sogni sulla natura sono probabilmente costruiti su impressioni che ho ricevuto dalla poesia e dall’arte.

La cultura è la causa di tutto?

Beato chi ha potuto dare qualcosa, almeno una volta, e non soltanto ricevere.

Oppure è la bellezza?

Mi chiedo anche se il dottor Glas non sia semplicemente una scusa. Anzi, non una scusa, ma una guida. Il dottor Glas è forse il nostro Virgilio? Quello che ci conduce tra gironi fatti di quotidianità e pensieri comuni nel tentativo di arrivare a quel fondo, a quel cuore di tutto che è il nostro vero io, quell’io che sa che, sebbene niente sembra valere la pena, noi questo niente lo vorremmo tutto.

Si vuole essere amati; in mancanza di questo, ammirati; in mancanza di questo, detestati e disprezzati. Si vuol suscitare negli uomini un sentimento di qualche tipo. L’anima rabbrividisce dinanzi al vuoto e vuole avere contatti a qualunque costo.

O forse non è che vogliamo tutto. E non è nemmeno che non vogliamo niente. Forse lottiamo tra il tutto e il niente per tentare di capire noi e chi ci sta attorno, per tentare di capire cosa vogliamo, cosa vogliono, cosa pensiamo, cosa pensano. Forse traballiamo tra l’infelicità e la felicità nella speranza di capire la vita, di dargli un senso. Ma il dottor Glas è più intelligente di noi:

… forse non si deve capire la vita. tutta questa storia di spiegare e di capire, tutta questa caccia alla verità è forse una strada sbagliata.
Noi benediciamo il sole, perché viviamo esattamente alla distanza necessaria. Alcuni milioni di miglia più vicino o più lontano e verremmo inceneriti oppure geleremmo. E se fosse così anche per la vita?

***

Il dottor Glas, di Hjalmar Soderberg
Traduzione di Maria Cristina Lombardi
Lindau, 166 pagine, 16,00 €

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