Di fari, stanze e persone.

Chi frequenta questo lido cibernetico sa quanto Virginia Woolf sia importante per me. Ne ho già parlato in questo post e lo ripeto in ogni possibile occasione.
Lo ripeto perché quando si è innamorati, questo amore lo si vuol far scoprire al mondo intero.

Ultimamente, però, mi sono anche chiesto se fosse ancora necessario parlare di Virginia Woolf. In fondo, tutti la conoscono, tutti hanno presente la faccia di questa signora inglese che si nasconde dietro questo cognome lupesco. Tutti.

Ma questa conoscenza è una conoscenza veritiera?
No. Perché se a uno parli di Virginia Woolf, è assai facile che questo qualcuno ti descriva una donna triste che si è riempita le tasche di sassi e si è gettata in un fiume.

È necessario, quindi, parlare ancora di Virginia?
Sì, perché Virginia non era questo.

Ed è proprio con l’intento di far conoscere la vera Virginia che è nato @aboutwoolf, un account twitter gestito da me e altre tre meravigliose donzelle dove ogni giorno condividiamo lo sguardo della Woolf. Lo sguardo vero.
Seguitelo, se volete approfondire e dialogare con noi.

Ed è proprio con l’intento di far conoscere la vera Virginia che è nato Il faro in una stanza, un festival dedicato proprio alla figura della scrittrice inglese e che si è svolto questo fine settimana a Monza. Un festival ideato da Raffaella Musicò, proprietaria della libreria Virginia e co. (direi che non serve specificare a quale Virginia si riferisce il nome), Liliana Rampello e Elisa Bolchi, due studiose della Woolf che hanno scritto su di lei.

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Io, in quel di Monza, ci sono stato sabato ed è stata un’esperienza bellissima.

Innanzitutto perché ogni intervento mostrava, dimostrava e spandeva amore per la Woolf, ma un amore non solo viscerale, ma anche competente, ovvero un amore che è passato per la carne, ma anche per il cervello.

E poi perché c’era un intento specifico: mostrare la vera Virginia. Quella intelligente, vivace, piena di vita, divertentissima e acuta.
Perché solo capendo la sua vera natura si può capire quello che aveva da dire.

È ancora necessario parlare di Virginia Woolf?
Sì, perché Virginia Woolf era una mente splendente, una capace di leggere le persone e le anime, una che sapeva pensare, una che sapeva criticare con cognizione di causa, una che sapeva innovare, rischiare, cambiare. Una che sapeva elogiare con passione. Virginia Woolf era una capace di imparare dal passato per vivere il presente. Era una che il presente lo sapeva apprezzare per costruire un futuro migliore. Virginia Woolf era un’incredibile scrittrice, ma anche una grande lettrice. Virginia Woolf era dalla parte del lettore comune, era dalla parte nostra. Virginia Woolf era una donna consapevole di se stessa, in grado di capire la donna e di volerle dare un’esistenza diversa.
Virginia Woolf era una che osservava, non una che vedeva e basta.
E secondo voi, tutte queste caratteristiche non ci sono oggi tremendamente necessarie?

Ecco perché bisogna continuare a parlare di Virginia. Perché dovremmo aspirare un po’ tutti a diventare Virginia.

Quindi io mi sento di ringraziare Raffaella Musicò, Liliana Rampello e Elisa Bolchi per l’egregio lavoro fatto con questo festival. Spero ce ne saranno altri ancora e, nel caso la risposta sia affermativa, io mi offro già come aiutante, anche solo per spazzare le sale dopo gli incontri.
E poi mi sento di ringraziare anche Sandra Petrignani e Sara Sullam e gli editori di Racconti Edizioni per i loro interventi davvero apprezzati.
E mi sento di ringraziare pure Manuela, Laura e Stefania, le mie tre compari di @aboutwoolf, e chiunque lavori o si prodighi per trasmettere l’essenza di Virginia. Perché è importante. Davvero.

Che Virginia possa sempre essere con noi.

2 pensieri su “Di fari, stanze e persone.

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