A leggere Istanbul Istanbul mi è venuto da chiedermi cosa siano le storie.
Sono intrattenimento? Sono evasione?
Sono attimi di riflessione?
Sono input? Divagazioni? Pensieri altrui?
Sono verità? Sono bugie?
Sono uniche o si possono ripetere? Possono cambiare? Trasformarsi? Oppure rimangono sempre uguali?
Ci sono tante storie o ce n’è una sola?
Mi sono fatto queste domande perché, è vero, il romanzo di Burhan Sonmez parla di incarcerazione e tortura in un paese che, sfortunatamente, è al centro di notizie tremendamente in linea con quanto raccontato nel libro. Però a leggerlo si capisce che al centro di tutta la vicenda si trova in verità il racconto e il raccontare.
Istanbul assomiglia alle acque del Bosforo che in superficie vanno da nord a sud, ma in profondità si muovono al contrario.
Ad ogni capitolo, a turno, ognuno di quattro prigionieri ‘protagonisti’ racconterà una storia. Sono storie apparentemente vere, ma chi lo sa? Sono storie che raccontano i loro narratori, ma ne siamo poi davvero sicuri? E sono storie che, sì, potremmo conoscere già.
Sono storie che possono ripetersi e cambiare di colpo, solo perché un particolare non ci aggrada.
Ma quindi… cosa sono queste storie? Cosa contengono di così importante da voler essere continuamente raccontate da questi uomini in fin di vita, brutalizzati, affamati?
Perché dovrebbero perdere tempo a raccontarle? Perché, se fa male la bocca per i pugni, o lo stomaco per la fame?
La mia risposta è: perché siamo noi.
Lo so, è una risposta che sembra ruffiana, fin troppo studiata. Eppure… eppure è così. Deve essere così. Le storie siamo noi. Ce le raccontiamo per capirci e per capire chi ci sta attorno. E qual è il momento migliore per raccontare storie, se non quello in cui si è vittime e così sotto attacco da rischiare di perdere la ragione, da rischiare di perdere noi stessi?
Raccontiamo per non dimenticare.
Inventiamo storie riciclando vecchi racconti, così facciamo finta di essere qualcosa di nuovo senza esserlo davvero.
Siamo il frutto di alcune grandi storie (vedasi le varie genesi mitologiche) e ne raccontiamo altre per continuare a rinascere, sperando di migliorare.
L’uomo è l’unica creatura che non è contenta di se stessa, Dottore. L’uccello è solo un uccello, si riproduce e vola. L’albero mette le foglie e dà frutti. L’uomo è un’altra cosa, ha imparato a sognare. Non si accontenta di quello che già esiste.
In Istanbul Istanbul è la parola, la vera arma. Sono le storie, le vere bombe. Senza storie non succede niente. Senza storie non ci intratteniamo, non pensiamo, non ci facciamo domande e quindi non arriviamo ad evolverci.
Siamo storie perché non siamo altro che eventi da raccontare. Ecco cos’è, per me, Istanbul Istanbul.
L’essere umano, che non era venuto al mondo per suo desiderio, si ritrovava non a scoprire la propria esistenza, ma a darle vita. Le montagne erano montagne anche prima di noi, così come gli alberi erano alberi. Ma questo valeva anche per la città, l’acciaio, l’elettricità e il telefono? Le persone che crearono la musica dal suono e la matematica dai numeri crearono un nuovo universo insieme alla città.
Istanbul Istanbul
di Borhan Sonmez
Traduzione di Anna Valerio
320 pagine, 17,00 €
Nottetempo
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