Mi sono avvicinato a Il viaggio di Caden senza ben sapere cosa stavo per leggere. Questo perché mi era stato sufficiente vedere quel Neal Shusterman in copertina per capire, fin da subito, che quella storia dovevo affrontarla per forza. L’autore mi era infatti piaciuto in Unwind, e mi aveva poi colpito con la sua forza e le sue idee geniali con la trilogia di Everlost. Quindi non potevo far altro che leggere anche questo.
È stato per me un bene non sapere di cosa parlasse esattamente il libro, perché in questo modo ho potuto vivere la storia di Caden con la stessa paura e la stessa foga con cui la vivono i suoi genitori, in un certo senso, e questa empatia mi ha saputo donare molte cose. Alcune molto tristi, è vero, ma sicuramente necessarie.
Presumo però, che per non rimanere completamente sconvolti dal romanzo, qualcosa sia giusto aver presente. Il viaggio di Caden è infatti un young adult che tratta di malattia mentale.
Quello che mi ha colpito è che sembra quasi (forse a causa dei miei ricordi legati alle precedenti opere di Shusterman) un romanzo fantasy.
C’è questo ragazzino, Caden, che ha una vita normale che a un tratto inizia a perdere di nitidezza. I capitoli legati alla sua quotidianità vengono alternati con altri indubbiamente onirici in cui Caden viaggia su di una nave alla ricerca della fossa delle Marianne. Subito non si capisce bene dove si stia andando a parare. Potrebbe quasi sembrare che Caden altro non sia che un qualche viaggiatore dei sogni, oppure un ragazzino speciale che sta per affrontare la sfida più difficile della sua vita, una sfida che riguarda non solo lui ma tutto il mondo, e che se risulta strambo a scuola è solo perché ha questo enorme peso sulle spalle.
Poi arriva la realtà, che per qualche aspetto non è meno fantastica delle vicende oniriche.
Caden ha una malattia mentale.
Non è un novello Harry Potter o un giovane Superman. È un ragazzino come tanti, affetto da qualcosa che, sì, in effetti gli pesa immensamente sulle spalle e che, sì, costituirà la sfida più difficile della sua vita e la cui riuscita coinvolgerà anche la visione che Caden ha del mondo che lo circonda.
Ecco allora che per il lettore questa alternanza tra onirico e reale assume significati che prima si ignoravano e diventa simbolo di una lotta continua per ritrovare una normalità che non esiste più, che forse non esisterà mai.
Shusterman ha scritto un romanzo molto ambizioso e molto coraggioso.
Essendo padre di un ragazzo che, come Caden, ha problemi mentali, ha sentito l’esigenza di raccontare una storia che potesse non spiegare, ma dare sostegno a chi vive una condizione simile e che mostrasse un lato della realtà che a molte persone sfugge.
Non lo nascondo, non è stato facile continuare la lettura, e questo per due motivi: il primo è che l’alternanza tra realtà e ‘sogno’, in un primo momento, risulta difficile seguire. E poi perché, una volta che questo dualismo viene capito per quello che è in realtà, la storia assume una connotazione effettivamente triste e dura che forse non si è mai pronti a vivere davvero.
Poi, però, qualcosa sembra risollevarsi e tu ti ritrovi a lottare assieme a Caden, con una energia che non avevi all’inizio del racconto, contro mostri spaventosi e pappagalli petulanti, ma anche contro medicinali e solitudini e incomprensioni.
E quando concludi questa lettura che è, a tutti gli effetti, un grande viaggio, ti senti vittorioso. Non è (non può essere) una vittoria assoluta. Eppure tu ti senti contento.
Il viaggio di Caden non è, insomma, una lettura facile. Probabilmente non è nemmeno una lettura per tutti. Eppure credo che sappia donare alcune cose che non si possono trovare in altre storie: parlo di alcuni momenti di forte empatia, alcune scosse di grande forza, il senso di coraggio nell’affrontare anche le cose più piccole… è un libro che in qualche modo spinge a ripensarti.
Potrei poi aggiungere che, in quanto genitore, ho ricevuto da questo romanzo alcuni input devastanti, ma credo sia meglio non parlarne e consigliare piuttosto la lettura del romanzo anche a chi, come me, ha un pupo a riempirgli le giornate.
Concludo confermando che Shusterman è un grande autore che meriterebbe molta più attenzione, almeno dalle nostre parti. Sono quindi felicissimo che Il Castoro abbia deciso di regalarci questo romanzo così particolare e così viscerale.