Il grande regno dello stile narrativo

Dopo aver letto Il grande regno dell’emergenza, raccolta di racconti di Alessandro Raveggi, ho pensato all’Anna Karenina di Joe Wright, la trasposizione cinematografica del capolavoro di Tolstoj datata 2012, con Keira Knightley nei panni dell’eroina russa.
Perché?
Beh, non so se voi avete visto questo film.
A me piace moltissimo, sebbene mi renda conto che non sia possibile in un film di due ore riuscire a raccontare degnamente la storia di Anna Karenina. Il fatto è che il punto forte, anzi fortissimo, di quella pellicola è il COME la storia è stata trasposta. E con come intendo proprio il vestito, l’estetica che si è deciso di darle. Sì, perché quasi tutto il film è girato in un teatro di posa, e in quel teatro vengono ricostruite stazione, corsa dei cavalli, ristoranti, case… tutto lasciando elementi evidenti del suo essere in realtà un teatro. Il risultato visivo è straordinario. Di una bellezza folgorante e… se non è il cinema a folgorarci visivamente, chi altri dovrebbe essere?

Ma mi rendo conto che la domanda rimane: perché mi è venuto da accomunare questo film alla raccolta firmata da Raveggi? Beh, essenzialmente perché proprio come il film di Wright, più che il cosa è il COME che ti incanta.

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La scrittura di Raveggi è un qualcosa che non mi era ancora capitato di trovare. Una scrittura molto fitta, carica, satura di parole. Una scrittura fatta di abbinamenti a volte apparentemente azzardati, ma che colpiscono, afferrano. Un racconto che potrebbe finire in due pagine si trasforma in una storia da otto. Una frase semplice e diretta può diventare un periodo di tre righe.

Ma questo è un male o un bene?

Lo ammetto. C’ho rimuginato a lungo.

Ora che ci penso, tutti i tempi legati a questo libro sono stati dilatati e queste ‘lungaggini’ sono tutte dovute allo stile scelto.
C’ho messo molto a leggerlo, per esempio, sebbene il volume non conti poi così tante pagine. Però quando un racconto raccoglie ed espone così tante parole, credo valga la pena concedersi il tempo per dedicare a queste parole il giusto peso, il giusto istante, la giusta attenzione.
L’ho tenuto dentro di me a lungo. Anzi, lo sto ancora tenendo dentro. I primi due racconti, in particolar modo, sono lì, annidati tra lo stomaco e il polmone.
C’ho messo molto per decidere come parlarvene. Così tanto che, in verità, non ho ancora deciso.
Il fatto è che è un libro complicato. Ci sono alcune storie davvero particolari, e poi c’è questa scrittura davvero particolare… e tutto questo particolare insieme diventa una cosa difficile da ‘sbrogliare’ per una discussione pubblica.

Ma, alla fine… lo consiglierei?
Sì. Lo consiglierei a chi ama i racconti. Lo consiglierei assolutissimamente a chi ama la parola, la scrittura ricercata. Lo consiglierei a chi sogna di scrivere, perché possa capire che voler scrivere e saper scrivere sono due cose molto diverse. Perché possa capire che le parole sono davvero armi, e bisogna sceglierle con cura.

Ma mi è piaciuto?
Sì, mi è piaciuto.
Credo sia un piatto che va assaggiato, più che mangiato. Un antipasto alla volta. Un racconto e poi un paio di giorni di pausa. Perché sono storie che vanno fatte decantare.

Ma la storia dello stile? È un bene o un male, alla fine?
Credo che a questa domanda ognuno possa dare una risposta diversa e molto personale. Parlandone anche con un’amica si discuteva su quanto alcune scelte linguistiche potessero essere sensate o meno, e la mia conclusione è che tutto quello che c’è in questo libro è ben ponderato e che non ci siano accostamenti fuori luogo. Credo che alcuni usi ‘creativi’ di alcuni termini risulti interessante e a volte estremamente intelligente, perché alla fine ti permettono di inquadrare bene una scena, oppure di vederla in un modo diverso.
Certo, ritengo che in certe storie la scrittura abbia preso il sopravvento a discapito della narrazione in sé, ma credo anche che alcuni episodi siano davvero ‘radiosi’.

Avete capito qualcosa? Probabilmente no. Probabilmente perché un libro così bisogna leggerlo. In fondo, ritengo che sia una lettura davvero interessante e che potrebbe accendere importanti discussioni non solo attorno ai temi trattati, ma soprattutto attorno alla scrittura stessa. All’arte dello scrivere e alla funzione e all’uso della parola. Perché da aspirante scrittore, in effetti, mi sono spesso ritrovato, durante la lettura, a chiedermi come io sapessi usare la mia lingua madre rispetto a qualcuno come Raveggi. Perché questa raccolta è un elogio della lingua italiana. È un elogio di quello che potremmo fare con un vocabolario e, in qualche modo, un’accusa a quello che non facciamo.

Ma Il grande regno dell’emergenza è anche un insieme di storie su personaggi in fuga. O meglio, su personaggi che avrebbero preferito fuggire da qualcosa, da qualcuno, ma che non ci sono riusciti. Perché la vita ci riprende sempre.
Si fugge dal passato, dalla disperazione, dalla guerra e anche dagli aspiranti scrittori. Ma non possiamo nasconderci. Non possiamo mascherarci per sempre. E in questo senso, forse, anche la scrittura diventa la metafora di una maschera; posso imbellettare un racconto finché voglio, ma la verità rimane solo una: la vita ci prenderà.

Leggetelo, quindi, questo libro. Poi ne discutiamo insieme.

2 pensieri su “Il grande regno dello stile narrativo

  1. moltoGaia ha detto:

    Ho capito, ho capito! Non sei stato sconclusionato!😀 E quindi, come effetto collaterale, mi è venuta voglia di vedere il film e di leggere questa raccolta di racconti (dopo aver finito Virginia, of course).

    • Andrea Storti ha detto:

      Il film a me è molto piaciuto per il lato estetico. Cioè… da vedere è mooolto bello.
      Se leggerai i racconti poi ti attenderà una discussione con me e soprattutto Maria.
      Of course, Virginia prima di tutto.😉

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