Intervista a Marianna Balducci

In questi venerdì dedicati all’illustrazione (QUI e QUI trovate gli episodi precedenti), di certo non poteva mancare qualcuno che le illustrazioni le fa davvero.
Di illustratori ne conosco ormai qualcuno, ma riflettendo su chi potessi ospitare oggi mi è subito venuta in mente Marianna Balducci. Questo perché, sebbene io l’abbia conosciuta tramite un libro, il suo lavoro ha, almeno per il momento, poco a che fare con i libri illustrati e questo ci permette di capire che l’illustrazione non è da associare esclusivamente all’editoria, anzi. Inoltre, ma mi pare ovvio, il lavoro di Marianna mi piace moltissimo e mi sembrava bello farlo conoscere anche a voi.

Marianna l’ho conosciuta grazie al lavoro fatto sulla storia di Enrico Padovan: Il Catturastelle, una fiaba per grandi e piccini davvero bella. Le sue illustrazioni hanno saputo cogliere benissimo il senso del racconto e, come accade nelle accoppiate vincenti, ha saputo impreziosirlo ulteriormente.
Da lì sono partito con una serie di pedinamenti online che mi hanno permesso di scoprire anche altri suoi lavori, lavori fatti di oggetti comuni e grandi idee.

Ho invitato Marianna qui e lei ha gentilmente accettato di passare questi primi giorni d’autunno tra gli alberi di mele. Io la ringrazio infinitamente e vi invito a leggere l’intervista e anche a visitare il SUO SITO.
Buona lettura.

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Marianna Balducci

Benvenuta Marianna e grazie di aver accettato di rispondere a qualche domanda. Visto che probabilmente alcuni miei lettori non ti conoscono, ti andrebbe di iniziare l’intervista raccontandoci un po’ chi è Marianna Balducci?
Sono una disegnatrice riminese. Il disegno è il mio modo di pensare, di appropriarmi dello spazio; è il mio lavoro e il mio modo di comunicare con le persone. Sono accogliente e curiosa, piena di tormenti e di ansie (più o meno segrete), sono un’artigiana entusiasta del mio lavoro che difendo dedicandogli studio ed esercizio quotidiani da quando tale lo posso definire (circa 4 anni ormai, dopo esperienze nel mondo della comunicazione e della pubblicità che occupano comunque ancora un ruolo importante nella mia professione). “Riminese” non è solo una connotazione geografica: amo moltissimo la mia città e il mio territorio, spesso fonte di ispirazione e interlocutore dei mie progetti. Sono nata e vivo ancora in una parte di Rimini che ne conserva l’identità più genuina, il Borgo San Giuliano, un vecchio quartiere di pescatori e anarchici, oggi gioiellino a un passo dal centro storico. Sono laureata in moda e continuo a collaborare con l’università con corsi e laboratori legati al linguaggio visuale e alla produzione di contenuti specialmente orientati al mondo del web che studio da sempre e che mi ha professionalmente dato molto, nel mio piccolo. Dalla moda viene il mio modo di approcciarmi alle immagini, la mia libertà nel combinare fonti e strumenti anche molto distanti tra loro in un rigore organizzativo che è tipico di questo “sistema” di codici e simboli dove estetica e innovazione si rincorrono in continua tensione reciproca.

Che cos’è un illustratore? Che lavoro fa? E cosa ha portato te a diventarlo?
Per quanto i percorsi di formazione e quelli professionali siano davvero moltissimi e portino a differenziare i profili di noi disegnatori, credo che una cosa che ci accomuna sia la propensione a raccontare storie per immagini. L’illustratore non è un creativo che mette su carta un sentimento fine a sé stesso, un segno per il puro piacere estetico di tracciare un nuovo percorso. Nella maggior parte dei casi, l’illustrazione è un’arte applicata al servizio di un messaggio che, anche nel singolo disegno, deve restare leggibile e protagonista. Credo sia questo l’aspetto che più mi ha affascinato del mondo dell’illustrazione dopo una formazione ricca di arte contemporanea, storia della fotografia, storia della moda,… o forse l’aspetto che per primo ha incrociato la mia strada iniziando a lavorare nella comunicazione. Ho sempre disegnato, sono figlia di una pittrice diplomata all’Accademia di Belle Arti che mi ha insegnato tanto e mi ha lasciata libera di fare i miei tentativi anche in direzioni lontane da quello che, inizialmente, credevo fosse solo uno dei miei modi di esprimermi e non necessariamente la mia futura professione. Sono arrivata a capire che il disegno sarebbe diventato il mio lavoro forse molto più tardi di chi ha una formazione accademica più tradizionale, ma non cambierei per nulla al mondo il mio percorso accidentato, pieno di persone bellissime e di esperienze dense (con degli ex colleghi universitari sono diventata anche imprenditrice fondando “ReeDo”, una start up che è oggi un laboratorio di autoproduzione sartoriale e una piccola scuola artigiana in centro a Rimini). Insomma, il disegno per anni è rimasto dietro le quinte, ma gli ho sempre dedicato un tempo di esercizio e ricerca piuttosto sistematici fino a portarlo a una prima maturità tale da poterlo proporre sulla scena come il mio “pezzo forte” e sono stati i clienti stessi (partendo da subito dopo la laurea come libera professionista) a dimostrarmelo.

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Personal Rorschach Test

Guardando i tuoi lavori ho come l’impressione che spesso siano frutto, concedimi il termine, del caso. Mi spiego: sembra sempre che sia un oggetto, magari visto per caso, a ispirarti e che poi tu ci ricami una storia attorno. È davvero così? Come nasce, insomma, un tuo lavoro?
L’idea che molti dei miei disegni conservino questo effetto finale di “incontro casuale” e di piccola epifania mi piace, non la ritengo offensiva. È vero, spesso rendere il pubblico partecipe di quanto lavoro c’è dietro a un disegno è uno degli aspetti “faticosi” della mia professione, ma la leggerezza e l’empatia sono linguaggi con cui mi piace fare il primo passo per iniziare a dialogare con chi si approccia al mio mondo disegnato. Se quello che ho disegnato suscita immediatamente curiosità, meraviglia, e nello stesso tempo una familiarità tale da avvicinare le persone a me senza metterle in soggezione, allora penso di aver raggiunto uno dei miei obiettivi. Ci sono poi casi in cui questo tipo di “incontro casuale” tra il segno e il quotidiano è proprio al centro della mia ricerca: parlo di progetti come la serie foto-illustrate “La vita nascosta delle cose” in cui il gioco è proprio rieducarci a guardare le cose apparentemente banali con nuovi occhi e scoprire quante storie ancora hanno da raccontarci. Il caso invece, nel vero e proprio senso del termine, l’ho sfidato nel mio ultimo progetto presentato alla Biennale del Disegno di Rimini (aprile-luglio 2016) con il progetto “Personal Rorschach Test”: per un mese ho lavorato, giorno dopo giorno, con delle macchie di inchiostro di china esercitandomi nel disegnare (un disegno al giorno, per un totale quindi di 31 tavole) quello che la macchia mi suggeriva. Come accade nel test psicologico di Rorschach, appunto, l’inconscio mi ha rivelato cose inaspettate e mi sono misurata con un nuovo modo di gestire le immagini, lasciando che fosse l’inchiostro casualmente sparso sul foglio a dare il La. Il disegno quindi non è solo uno strumento di produzione di contenuti, ma anche un vero e proprio strumento di indagine di me stessa e del mondo intorno che poi trova anche le sue applicazioni al servizio dei clienti. Per esempio, sulla scia di questa esperienza è nata la serie “Lettimi illustrato”, un progetto foto-disegnato per sensibilizzare il recupero del giardino di Palazzo Lettimi a Rimini (un luogo storico un po’ dimenticato) in occasione del festival di teatro e musica “Le città visibili”.

I tuoi personaggi hanno una storia? Cioè, quando disegni un nuovo personaggio pensi anche a un suo ‘vissuto’?
Quasi sempre accade, a livello più o meno consapevole, che i personaggi abbiano, se non una storia vera e propria, un carattere o una certa vocazione già piuttosto spiccata. Chi segue i miei schizzi e appunti su instagram, per esempio, noterà che spesso le didascalie rivelano delle piccole “storie in potenza”. Alcune volte mi diverto ad appuntarle velocemente, persino correndo dietro al disegno e cercando di assecondarne la natura. Scrivere è sempre un ottimo esercizio per me: mi aiuta a mantenere elastica la mente, a progettare in modo sempre più consapevole, a vedere fino a che punto so far correre veloce l’immaginazione stressando meccanismi come l’associazione di idee, il gioco dei contrari, e tanti di quei processi che Rodari nella sua “Grammatica della fantasia” ha descritto. Le storie che trasformerò in progetto le sto coltivando proprio in questi ultimi tempi. Altre storie sono state l’occasione per instaurare un dialogo con i miei lettori e fare nuovi incontri: è il caso della storia con più finali di Annina al circo, per presentare un disegno che non aveva superato la selezione di un concorso; è il caso del disegno del “bambino che aveva troppi capelli” nato quando avevo a malapena un blog, la cui storia è stata scritta poi tra i commenti come un regalo da Enrico Padovan con cui poi abbiamo realizzato il libro illustrato “Il Catturastelle” (autoproduzione che nel suo piccolo ci ha dato bellissime soddisfazioni).

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Un’idea – Bebè

Ti va di condividere con noi un paio di tuoi lavori e raccontarci la loro storia?
Tra i progetti personali che più mi hanno dato soddisfazione, c’è la serie foto-illustrata “Un’idea” (20 disegni a matita, colorati in digitale e combinati con la stessa base fotografica che rappresenta una lampadina). Alle idee corro dietro tutti i giorni, a volte in affanno perché le voglio acchiappare a tutti i costi, altre volte ci passeggio assieme piano piano, altre volte ancora ho l’impressione che mi stiano facendo un dispetto, nascoste da qualche parte a ridere del fatto che non le riesco a stanare. Mi piace moltissimo farmi raccontare dalle persone come nascono le loro idee: anche quella che ci appare una banalità, prima o poi svela un guizzo interessante, quel momento in cui il famoso interruttore si è acceso e ha illuminato. Che si tratti quindi di piccole epifanie quotidiane o di progetti sbocciati dopo lunghi periodi di elaborazione, le idee meritano tutte almeno un minimo di ascolto, di disponibilità, almeno un piccolo saluto, anche quando magari alla fine davvero poi non ci portano a “niente”. Ho scelto di farmi aiutare dalla lampadina che i fumetti ci hanno addomesticato a leggere come la rappresentazione sintetica per eccellenza dell’idea. Poi mi sono messa in ascolto. Cosa succede quando nasce un’idea? Cos’è un’idea e cosa può diventare? Come funziona un’idea? La sorpresa che ha suscitato questa raccolta nel pubblico che l’ha vista in più occasioni in mostra è stata un regalo bellissimo. La serie, potenzialmente infinita, ha aperto conversazioni coinvolgendo grandi e piccini, ha suggerito un gioco alla portata di tutti che hanno iniziato a interpretare i disegni, ad eleggere il loro preferito riconoscendosi nelle situazioni rappresentate, ad avvicinarsi al mio modo di lavorare e di concepire le idee alla base dei miei lavori. Resta perciò un progetto a cui sono molto affezionata e tra quelli attualmente “in cerca di editore”!

Passiamo a una domanda pratica: di illustrazione si riesce a vivere?
Non sempre, non facilmente in Italia (stando anche ad esperienze di colleghi già molto più solidi e avanti di me nel loro percorso). Io posso dire di sì, ma ci sono ancora molti obiettivi da spuntare sulla lista per poter dire di aver costruito una vera e propria carriera. L’editoria, per esempio, è un mondo ancora nuovo con cui sto appena iniziando a misurarmi ma che spero farà parte del mio lavoro sempre di più in futuro. La pubblicità e la comunicazione sono i settori che fino ad ora mi hanno permesso di trasformare in lavoro la mia passione e il cui mondo continua ad affascinarmi e con cui ritrovo molte consonanze: la necessità di interpretare il brief del cliente, il processo creativo che sta dietro alla realizzazione di una campagna, le tante competenze che si incrociano, i pesi di cui tener conto in ambienti anche molto competitivi. Raccontare storie per immagini è quello che so e che sto imparando sempre meglio a fare; per farlo, so di dover tenere insieme moltissimi pezzi del puzzle che non hanno strettamente a che fare con il disegno ma piuttosto con la promozione di me stessa, la capacità di relazionarmi con altre persone, una certa gestione del bilancio personale in un lavoro in cui ci possono essere periodi di intensa attività e altri più immobili e apparentemente scoraggianti.

In una società in cui le immagini fotografiche circolano con grande facilità e in quantità abnormi, fatte da chiunque e postato online ‘senza ritegno’… dove si pone l’illustrazione? E cos’ha da offrire, secondo te?
Siamo ormai da anni immersi nella liquidità della rete, nella logica wiki della conoscenza condivisa e partecipata, nella frammentazione delle conversazioni che però sono un “sistema nervoso” (come lo chiama McLuhan) della nostra quotidianità. Questo ha portato certamente a dei benefici e a una maggior democratizzazione delle risorse condivise e arricchite dal libero contributo di tutti. Nello stesso tempo la rete spesso sembra non lasciare nulla dietro di sé: il facile consumo soprattutto delle immagini, impoverisce il ruolo di chi le produce, rende molto frustrante la ricerca di una modalità di investimento seria su contenuti di qualità che, tanto, si pensa, galleggino in superficie con la stessa dignità e scarsa longevità di quelli approssimativi. Di immagini siamo onnivori e impariamo a farne scorpacciate sempre più veloci e a produrne noi stessi delle nuove (pensiamo ai pochi secondi delle “narrazioni” personali messe in scene su snapchat). Mi chiedo quanto ancora conti l’aspetto autorale, quanto il pubblico ma soprattutto i committenti siano interessati a investire risorse e attenzione su un’immagine piuttosto che sull’altra e sulla base di quali criteri oggi ne venga decretato il valore. Potrei cavarmela dicendo che l’illustrazione resta una finestra di sogno ed evasione dalla quale concedersi di spiccare un rasserenante volo, ma non riesco a non pensare a quanto questo stratificarsi di immagini sia una parte dello stratificarsi della nostra storia, del nostro modo di filtrare la realtà. Anche la rappresentazione di un sogno, leggero e divertito, buffo e giocoso, lascia un segno importante nei nostri occhi che forse non ci cambierà la vita ma condirà il nostro universo di riferimenti e magari ci darà slancio e fiducia per fare qualcosa di nuovo. In questo marasma, se un disegno riesce a raccontarmi qualcosa, a innescare un dialogo, a farmi venire un’idea allora ha trovato una strada che mi interessa per galleggiare perlomeno un po’ più a lungo e lasciare negli occhi di guarda una traccia significativa.

Progetti in corso e/o futuri? Dove possiamo vedere te e i tuoi lavori?
Sto lavorando per committenti di vario genere (aziende, privati, associazioni) e iniziando a mettere insieme qualche progetto personale più strutturato da proporre all’editoria. Qualcosa ha già iniziato a muoversi e spero di potervene parlare all’inizio del 2017. Aggiornamenti continui e piccole rivelazioni sulla mia vita da disegnatrice si possono seguire sui miei canali social (instagram, twitter, facebook, snapchat) o intercettando l’hashtag #chidisegna che ormai accompagna fedelmente il mio “diario di bordo” virtuale.

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Annina al circo

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